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Kebari (Ke-Hari) 毛鉤

La ricerca dell'essenzialità

Le Kebari in giapponese è una parola composta da “ke” che significa piuma o pelo e da “hari” che significa ago o amo (come in molti altri paesi, anche in Giappone si utilizzarono per molto tempo aghi piegati per creare ami da pesca).

Il mio approccio alla Tenkara è partito proprio da qui, e cioè dalle kebari. Non riuscivo a capire perché nella Pesca a Mosca, ci fossero centinaia e forse migliaia di modelli di mosche diverse con nomi e dressing ben definiti, mentre nella Tenkara, che nella sostanza è nata allo stesso modo della Pesca a Mosca, praticamente non esistono mosche con un dressing definito e quasi nessuna mosca ha un nome (vengono chiamate semplicemente “Kebari”, cioè amo con piuma).

Col tempo ho scoperto che questa sostanziale differenza è data dal concetto di partenza con il quale vengono pensati i due artificiali. Nel caso della Pesca a Mosca, si parte da un concetto imitativo, cioè si legano artificiali che imitino il più possibile, in termini di colore, forma e dettagli, gli insetti presenti nel luogo in cui si pesca, addirittura si cercano di imitare i vari insetti nei loro diversi stadi vitali.

Nel caso di Tenkara, invece, le kebari si limitano ad “assomigliare” a quegli insetti e addirittura ad assomigliare a più famiglie di insetti contemporaneamente.


 Un Jun Kebari e un'imitazione della pupa di caddis a confronto.

La Tenkara nasce come pesca di sussistenza, utilizzata prevalentemente dai cacciatori che abitavano le catene montuose del Giappone. Durante le battute di caccia, vi era la necessità di procurarsi cibo senza sprecare munizioni (frecce e lance) e senza intaccare il bottino cacciato, che era prezioso e doveva essere portato tutto a casa. Per mangiare quindi, si raccoglievano e consumavano erbe, germogli e tuberi nei boschi e quando era possibile, si praticava la pesca nutrendosi dei pesci che venivano pescati.


I Matagi, tradizionali cacciatori invernali delle montagne giapponesi (fonte: fieldethos.com)

Ovviamente l'attrezzatura usata per pescare doveva essere facilmente trasportabile e leggera; e la tecnica, doveva essere allo stesso tempo efficace e redditizia.

Non era raro utilizzare delle canne di bambù o dei rami raccolti al momento come canne da pesca. Le lenze invece, essendo poco ingombranti e leggere, venivano confezionate a casa prima di partire, intrecciando fili di seta o crini di cavallo. Le mosche poi, anch’esse potevano essere portate da casa, ma capitava sovente che venissero preparate sul posto utilizzando degli ami sui quali venivano legate, con del filo di seta fine, delle piume o dei peli (spesso degli animali cacciati) o addirittura venivano utilizzate delle lanuggini provenienti dai tronchi delle piante presenti nei boschi (es. lo Zenmai – Osmunda Japonica – Felce florida giapponese).

Un germoglio di Zenmai (Osmunda Japonica – felce da fiore giapponese) (fonte: designingyourlife.coach) e un dipinto del fiume Kurobe nel suo tratto torrenziale (fonte: ukiyo-e.org)

Col tempo si arrivò a capire che nelle acque correnti e impetuose dei torrenti montani, nei quali la pesca veniva praticata, non era necessario imitare perfettamente l’insetto per ingannare il pesce. In primo luogo perché il pesce che si preferiva cacciare, era il pesce di piccola taglia, che per sua natura è molto meno sospettoso degli esemplari adulti e più grandi (d'altronde se devo mangiare è meglio prendere molti pesci piccoli, che uno grande), e in secondo luogo, perché in corrente il pesce ha molto meno tempo per pensare e meno visibilità, e quindi una visione limitata delle sue prede (è più facile ingannarlo).

Con questi presupposti, il pescatore fu spinto a costruire artificiali il più semplici possibile, tralasciando l’imitazione ma mantenendo quelle peculiarità tipiche degli insetti (forma, dimensione, colore). Si concentrò invece, sul rendere le kebari funzionali alla manipolazione o movimento che viene dato in acqua o in superficie, per fare in modo che il pesce le percepisca come cibo e non come un semplice detrito portato dalla corrente.

La ricerca dell'essenzialità ha portato, quindi a costruire kebari composte semplicemente da un corpo e una piuma, più o meno rigida, avvolta sul gambo dell’amo vicino l’occhiello. Questo perché la piuma può avere una doppia funzione in base al movimento che viene dato alla kebari.


Sakasa Kebari: Sprite Hook S2100 #12 – Filo ovale in pura seta – Piuma di beccaccia

Nella manipolazione che fa emergere la kebari dal fondo verso la superficie, le barbe della piuma, per via del movimento verso l’alto e del contrasto della corrente, tenderanno a chiudersi sull’addome, facendo assomigliare l’artificiale ad una ninfa o una pupa emergenti. Con un movimento diverso invece, e cioè lasciandola scendere verso il fondo a favore di corrente, le barbe della piuma si aprono facendola assomigliare ad un terrestrial caduto in acqua o ad una spent o una cripple o still-born affondate. In questo modo un unico artificiale, grazie alla sua essenzialità, se lavorato in modo differente diventa super efficace, in diverse situazioni di pesca.

In realtà anche in Occidente, e in particolare nel regno unito, qualcuno era arrivato a questo concetto di essenzialità applicato alla costruzione. A metà del 1800, W. C. Stewart, in un periodo storico rappresentato da una pesca praticata quasi sempre in downstream, con artificiali imitativi, con il suo libro “The practical angler; or, The art of trout-fishing, more particularly applied to clear water” alza figurativamente la mano, e dice: “Signori, guardate che forse non è necessaria tutta questa imitatività degli artificiali” e rilancia, rendendolo molto popolare, un modello di mosca già in uso solamente nelle contee settentrionali dell’Inghilterra.

Questo modello di mosca è la Spider, che oltre ad assomigliare molto ad una kebari, ha lo stesso concetto costruttivo (guarda caso veniva utilizzato nei torrenti del nord simili a quelli giapponesi), e cioè un corpo e una piuma morbida avvolta sul gambo dell’amo. Stewart spiega come lo Spider possa appunto imitare più stadi dell’insetto e sia molto efficace se usato in upstream con movimenti che animano l’esca.


Sullo stesso amo ( Sprite S2160 #12) vengono confrontate due mosche tradizionali: la Oni Kebari ( Camel Dubbing black e piuma di fagiano) e la Stewart's black Spider (Starling Feather)

In ogni caso la ricerca dell’essenzialità è tipicamente orientale e in effetti è alla base della cultura giapponese e la ritroviamo in molti aspetti legati alla tradizione artistica, ma anche più recentemente al concetto di industria. Ma è affascinante vedere come questa essenzialità si trovi anche nelle piccole cose, e cioè in una banale tecnica di pesca, che diventa un connubio perfetto tra tre semplici elementi (canna, lenza, esca) e in particolare, la si trovi in minuscolo amo ricoperto di piuma che serve banalmente per procacciarsi cibo.