Il fly tier americano John Atherthon, a metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, divenne conosciuto per le sue teorie costruttive nelle quali univa la passione per la pesca a mosca con quella per la pittura. Il suo più famoso assioma fu quello sull’impressionismo delle mosche da pesca. “Se osservate bene una sub-immagine di effimera noterete che la sua colorazione è impressionistica ed è formata da tante piccole variazioni di tono come quelle che trovereste nei dipinti di Monet, Renoir o di altri pittori impressionisti”. Le mosche di Atherton erano veramente una miscela di toni, screziature, colori, che davano all’insieme un aspetto unico, che le distingueva da tutte le altre mosche dell’area dei Catskill. Per la cronaca, John Atherton allevava galli e li lasciava liberi di razzolare e di svolazzare su alberi e arbusti in giro per la sua proprietà. Quando era, diciamo, a corto di piume, usciva semplicemente con la carabina in spalla. Beh, altri tempi.
Immagino che John Atherton non abbia mai avuto la possibilità di ammirare una piuma di Coq de Leòn Pardo o Coq de Leòn Indio,
ma sono sicuro che ne sarebbe stato sicuramente affascinato. Credo infatti che non vi sia altra piuma che possa rappresentare meglio il concetto di impressionismo di questo artista e fly tier americano. Se non ne siete convinti prendetene una in mano e osservatene le fibre. Ma non solo per qualche secondo, guardatela e rigiratela per diversi minuti e come per incanto potreste iniziare a vedervi effimere, piccoli ditteri, sedge dal volo incerto e leggeri plecotteri. Sempre che sappiate cosa sono questi insetti qui sopra. No, non sto scherzando, pare che siano molti i pescatori a mosca che non conoscano minimamente i principali insetti che popolano le acque di fiumi e laghi. Ma questa è un’altra storia. Torniamo al nostro Coq de Leòn.
Pare incredibile che una piuma così speciale sia oggi identificata quasi esclusivamente come un ottimo materiale per code. Non che non lo sia, anzi, quando abbiamo in mano una di queste piume possiamo renderci subito conto della grande elasticità e brillantezza delle sue fibre, caratteristiche che, abbinate alla screziatura, ne fanno un materiale perfetto per code di ninfe e mosche secche, a patto di avere in mano quelle buone. Ma è vero che c’è molto di più, anche se purtroppo oggi la maggior parte dei neo costruttori, e non solo, si limitino a questo utilizzo, quando va bene. In pratica, una piuma con una storia così lunga e affascinante è ridotta oggi a essere usata prevalentemente come coda dei Perdigones. E dire che, sia che lo si chiami Gallopardo, Coq de Leòn o Pluma de Leòn, questa magica piuma ha sulle spalle una lunga storia. Queste storie non nascono mai per caso e la tradizione del Gallo di Leon e di queste piume risale a diverse centinaia di anni, con le prime tracce scritte sul Manoscritto di Astorga del XVII secolo.
Sono piume uniche nel loro genere, lucenti, elastiche e vibranti, con screziature di varia intensità che ricordano così tanto zampe e ali di insetti. Quindi perché non usarle come hanno fatto per lungo tempo gli amici spagnoli per creare belle ed efficaci imitazioni di effimere, tricotteri e plecotteri. Non solo code, ma ali di effimere, secche e sommerse, zampe di ninfe, collari di secche e persino sacche alari di ninfe. Provate ad esempio a montarne le fibre a mazzetti per dare vita a superbe imitazioni di sedge. Ma se credete che là fuori sia tutto oro quello che luccica vi sbagliate di grosso. Non tutte le piume in commercio oggi sono di qualità. Vengono vendute piume che nulla hanno a che spartire con quelle vere di Leòn, oppure si spacciano le lunghe colgaderas per piume di prima scelta quando invece per gli spagnoli hanno pochissimo valore commerciale. Per non parlare dei colli interi con fibre molli e per nulla elastiche. Non basta scrivere Coq de Leòn sopra a un collo di marca per avere piume di Coq de Leòn di qualità. Sono tanti i costruttori che mi chiedono come mai le code delle loro effimere non sostengano bene la mosca e sembrino stanche e senza nervo. La risposta è qui sopra, rileggetela.
Sappiate che la particolarità delle piume di Coq de Leòn Pardo e di Coq de Leòn Indio,
le due varietà principali, è quella di essere strappate dall’animale vivo, che rimane ovviamente vivo anche dopo la spennatura e proprio questa pratica garantisce quelle qualità che vi ho elencato prima. Anzi, gli animali maturano nel tempo e producono piume sempre migliori, anche se si riduce il numero di piume che si ricavano da ogni animale. In realtà i Coq de Leòn vengono allevati anche in altre parti del mondo ma solo in una piccolissima regione della zona di Leòn si allevano unicamente per le piume e da così tanto tempo. Ci sono diversi motivi per cui i Galli allevati nella zona di Leòn producono le piume migliori al mondo: il clima, la quasi assenza di vento, l’alimentazione usata, i secoli di incroci e selezioni e non ultimo la conformazione del suolo, il suo contenuto di elementi traccia. Alcuni esperti sono arrivati a far risalire la lucentezza e la qualità di queste piume alla presenza di piccolissime quantità di uranio nel sottosuolo della regione, cosa che farebbe aumentare leggermente i valori medi di radioattività, ma non preoccupatevi, a usare queste piume non si rischia la contaminazione radioattiva. Si rischia invece di fare belle ed efficaci mosche. Mi pare un buon rischio.
Poi ricordiamoci che non tutti i periodi dell’anno sono adatti al prelievo e diversi fattori come il clima e la quantità di precipitazioni possono influenzare o ritardare la spennatura degli animali. Mediamente vi sono quattro periodi di raccolta all’anno che, a quanto pare, non devono mai coincidere con la luna piena. Spennare durante l’ultimo quarto è la pratica comune perché le nuove piume cresceranno più forti e con maggior vigore. Gli allevatori seri non vi forniranno piume nel periodo sbagliato nemmeno se vi mettete a recitare tutto il Manoscritto di Astorga a memoria e in ginocchio. Quando in futuro vi troverete a cercare queste magiche piume, ricordatevi tutto questo. Poi, quando inizierete a montarle sul vostro amo, fermatevi un attimo e pensate a John Atherton e a Monet. Potrebbero ispirarvi. Chi avesse voglia di accrescere la propria cultura sul Manoscritto di Astorga può leggersi il bellissimo articolo Il Manoscriito di Astorga A.D. 1624 di Josè Luis Garcia Gonzalez pubblicato per la prima volta sul primo numero del 2016 di Fly Line e magari trovare una copia del suo libro Pluma, seda y acero. Oppure potreste cercare una copia del libro El pardon de Meana di Luis Meana Baeza. Entrambe sono ottime letture. Seminate cultura e raccogliete bellezza.