Le mani si muovevano veloci intorno a quell’uncino metallico, da parecchio tempo, forse ore. Con gesti sicuri disponevano sete, fili colorati e fibre screziate, eteree come aureole lucenti, ritoccando con sapienti colpi di forbice quelle che non volevano sottomettersi al loro volere. Mani che plasmavano frammenti di vita che fu, per creare ingannevoli simulacri di altra vita. Mani stanche e infreddolite che trovavano unico conforto nel calore della tazza di caffè appoggiata sul tavolo. Fuori pareva che l’inverno non volesse finire mai e nonostante la diversa intensità di luce preannunciasse l’arrivo della primavera il freddo continuava a farsi sentire. Già, la primavera. Con questa sarebbero arrivati i primi sfarfallamenti e i cacciatori di trote avrebbero iniziato a bussare alla sua porta con maggior frequenza. Aprì la prima di quelle lettere, con calma. Ne immaginava il contenuto, come di tutte le altre che regolarmente riceveva. Lesse quelle poche righe sorseggiando il suo caffè e lasciando che le mani riposassero un poco. “Egregio signor Cross, le mosche che ho ricevuto sono eccellenti e durante la mia ultima uscita di pesca ho avuto modo di provarne la loro efficacia. Tre magnifiche brown catturate alla Big Bend pool ne sono la prova. Le sarei grato volesse prepararmi tre dozzine dei soliti modelli nelle misure da lei consigliate per la stagione. Allego l’importo dovuto alla presente”. La ripiegò con cura e la mise sotto ad altre, in preciso ordine di arrivo. Su un taccuino annotò poche righe, numeri e nomi che sarebbero parsi come graffiti incomprensibili a un profano. Poi, con la stessa calma, le mani sollevarono un ciuffo di fibre lucenti e ricominciarono a danzare.
Quella sopra, con un pizzico di immaginazione, supportata però dall’analisi di reali scambi di corrispondenza, potrebbe essere una delle lettere ricevute agli inizi del secolo scorso da uno dei vari costruttori di mosche professionisti, nel caso specifico, del nord America. La pratica della pesca con mosche artificiali ha sempre necessariamente implicato la costruzione degli artificiali stessi, sin dalla notte dei tempi e senza ombra di dubbio. Ami, sete e piume andavano assemblate da mano umana e costruire mosche con quello che era facilmente reperibile fu pratica comune fino a che i materiali per la costruzione non divennero disponibili commercialmente. Ci si sarebbe potuti rendere conto di ciò curiosando nella cassetta dove un pescatore a mosca del 1700 avrebbe conservato la sua esigua attrezzatura. Per lungo tempo i pescatori a mosca si limitarono a utilizzare piume per lo più provenienti da animali da cortile o dai frutti della caccia e ad utilizzare filati comuni da cucito e non certo sofisticati prodotti per fly tyers. A meno di essere uno dei fortunati pescatori descritti nel libro del reverendo Newland del 1850, The Erne and its Legends al quale vennero donati dalle fate preziosi fili di seta con cui costruire infallibili mosche da salmone, tra le quali la Jack The Giant Killer o la Parson.
Al normale pescatore non rimaneva che rincorrere e spennare galli e galline, propri o del vicino contadino, e sottrarre alla moglie filati da cucito e lana, oppure affidarsi alle piume dei volatili cacciati e con questi materiali assemblare semplici mosche, per lo più modelli sommersi, considerato che la mosca secca è storia molto più recente. Probabilmente dalla limitata disponibilità di materiali dipese il nascere di determinate imitazioni riconducibili a ben precisi luoghi geografici. Ne possono essere un esempio le mosche spagnole o anche le nostrane mosche valsesiane. Inoltre non si deve dimenticare che per un lungo periodo storico la costruzione stessa e le tecniche applicate non furono di dominio pubblico e gli artificiali usati furono, quasi sempre, frutto di sperimentazioni e tradizione locale. E questo motiva ancora di più il fatto che determinati stili rimanessero per molto tempo legati a confini geografici limitati. Fu probabilmente la stampa e l’accessibilità a una maggiore informazione a far sviluppare una diversa concezione del fly tying. E soprattutto le pubblicazioni contenenti disegni dettagliati e tavole a colori, con le mosche colorate a mano prima e con stampa cromatica in seguito. Le semplici descrizioni dei dressing riportati sui primi volumi disponibili, già di per sé a volte difficili da interpretare, non erano sufficienti a permettere una corretta realizzazione delle mosche.
E’ interessante notare come le figure dei primi costruttori professionisti nascano quasi in concomitanza con l’aumento di pubblicazioni alieutiche, nonché con l’inizio della commercializzazione su più larga scala dei prodotti per la pesca sportiva. Ed è abbastanza semplice capire il perché. Sappiamo che la pesca nelle sue varie sfaccettature, inclusa quindi la pesca a mosca, fu considerata a lungo più un mezzo per apportare proteine che un vero passatempo. Il pesce era cibo, non sport. Anche perché, fino ad un certo momento storico, di tempo e disponibilità finanziarie i lavoratori ne avevano poco e integrare la dieta della famiglia con quello che la natura offriva era una comprensibile necessità. Il pescatore contemplativo di Walton era probabilmente più identificabile all’interno delle classi più abbienti che non tra i lavoratori dei campi o delle botteghe artigiane che contemplavano di più la fame del loro stomaco.
Intorno alla metà del XIX secolo, quindi in epoca vittoriana, assistiamo invece al nascere di nuove classi sociali, con modificate disponibilità economiche, e a una diversa concezione del tempo libero e dello svago. In questo periodo storico iniziò a delinearsi la figura del pescatore sportivo e la nascita di aziende specializzate nella produzione e vendita di articoli da pesca ne fu la naturale conseguenza. Spesso gli stessi negozianti, una volta accumulata una certa esperienza nella pratica piscatoria e una sufficiente notorietà commerciale, si dilettarono nella pubblicazione di libri e opuscoli riportanti le proprie tecniche e ovviamente le ricette degli artificiali che consideravano indispensabili. Potremmo accennare all’inglese James Ogden che, oltre ad essere uno dei precursori dell’uso ragionato della mosca galleggiante, ancora prima di Halford, con i proventi della sua attività di costruttore professionista riuscì ad aprire un proprio negozio e a scrivere nel 1879 un interessante volume intitolato Ogden on Fly Tying. Altro esempio di lungimiranza commerciale fu lo stesso William Blacker, proprietario di un negozio a Londra, che pubblicò intorno alla metà del 1800 un bellissimo volumetto nel quale spiegava, oltre a tecniche di costruzione e dressing di mosche da trota e da salmone, anche la difficile arte della tintura di peli e piume. La notorietà che gli derivò da questo libro gli permise di fare ottimi affari nel suo negozio e di vendere le proprie mosche a prezzi quasi triplici rispetto a quelle montate da altri costruttori. In pratica fu un’ottima operazione di marketing del tempo.
Inoltre questo fu il periodo che vide il perfezionarsi della produzione su larga scala degli ami adatti alle varie tipologie di artificiali, produzione che era stata fino a quel momento di natura quasi artigianale con tutti i relativi problemi di qualità e disponibilità. E anche in questo campo i costruttori-autori del tempo non persero occasione per legare il loro nome a certe forme di amo che venivano prontamente pubblicizzate sui loro stessi scritti. Lo fecero personaggi dello spessore di George Kelson, Thomas Edwin Pryce-Tannatt e l’immancabile William Blacker, per rimanere tra i più famosi. La migliore qualità degli ami non fu poca cosa: migliore forgia e quindi maggiore tenuta, migliore resistenza alla corrosione e alla ruggine che allungava la vita media di una mosca. Pensiamo che anche l’utilizzo in seguito del semplice occhiello giocò un suo importante ruolo nello sviluppo della mosca secca. Sono d’accordo con chi sostiene che senza ami con occhiello non sarebbe forse esistito Halford o, per lo meno le sue teorie avrebbero tardato ancora diversi anni.
Ma si sa, le innovazioni sono sempre il frutto di un insieme di fattori e cause scatenanti. Ci fu pesca a galla grazie agli ami, alle lenze galleggianti in seta apprettata, grazie alla canna corta in bamboo esagonale, al falso lancio e, non ultimo, ai vari liquidi per far galleggiare le mosche. Ma questa è tutta un'altra storia. In ogni modo da tutto questo ribollire di innovazione a livello di costruzione ne conseguì una richiesta sempre maggiore di artificiali già pronti per essere consegnati alle amorevoli cure dei bei portafogli in pelle di maiale o delle prime splendide scatole porta-mosche. Se proviamo a immedesimarci in un costruttore amatoriale del tempo potremo renderci conto delle non piccole difficoltà che comportava allora l’assemblare artificiali. Si doveva disporre di molti materiali se si volevano riprodurre gli esemplari illustrati nei vari libri, spesso si era costretti a imparare l’arte della tintura dei piumaggi, si lavorava per lo più senza l’ausilio di morsetti, i filati erano molto più grossolani di quelli odierni, il che richiedeva maggiore cura nel controllo degli avvolgimenti e, cosa non da poco, la luce artificiale non era quella di oggi e spesso si lavorava a lume di candela o davanti ad una finestra con la giusta angolazione. Infatti, molti dei vecchi testi non mancano mai di riportare consigli sull’illuminazione ideale per costruire agevolmente. A proposito dell’uso del morsetto per la costruzione è interessante soffermarci sul fatto che questo attrezzo, oggi ritenuto così indispensabile, si iniziò ad usare molto tardi e tutte le fasi di costruzione furono per lungo tempo eseguite tenendo l’amo saldamente tra pollice e indice. I primi morsetti non furono altro che piccole morse da gioielliere, il più delle volte tenute a loro volta in mano o fissate su un perno inserito nel tavolo da lavoro. Un esempio di primo modello concepito per la costruzione di mosche si trova descritto e disegnato proprio sul libro di Ogden a cui accennavo poco sopra.
Molto singolare è però il fatto che, come racconta lo storico Andrew Herd, la stessa Hardy continuò a far costruire le mosche ai propri dipendenti senza introdurre l’uso di alcun morsetto e questo fino al 1959. Persino nel 1969, anno in cui cessarono la produzione nel Regno Unito, alcuni costruttori della Hardy costruivano ancora in mano, nonostante questo strumento fosse già diventato di uso comune. Tornando alle intrinseche problematiche legate alla costruzione di mosche in epoche precedenti alla nostra, è comprensibile quindi come molti appassionati iniziarono a preferire l’acquisto diretto della mosca finita al doversi cimentare con tutto quanto sopra descritto. Senza contare il tempo risparmiato. Inoltre non dimentichiamo che la pesca a mosca, da un certo momento storico in poi, divenne sport accessibile alla massa e non più limitato a pochi appassionati e, come sappiamo, la massa vuole prodotto facile e poco impegnativo. Anche lo stile di pesca cambiò col tempo e grazie ad autori quali Alfred Ronalds, Frederic Michael Halford, Leonard West o la costruzione delle mosche artificiali passò ad un approccio più scientifico dove al montaggio di mosche d’insieme si sostituì la ricerca dell’imitazione esatta di un dato insetto, in un particolare stadio vitale, da utilizzarsi in un preciso strato d’acqua o, massima espressione, come avrebbe sostenuto lo stesso Halford, in superficie. Naturalmente la ricerca imitativa fu inizialmente affrontata dal punto di vista del pescatore e solo in un secondo momento ci si iniziò a porre domande su come il pesce poteva percepire l’imitazione e questo avvenne soprattutto con il dilagare della mosca galleggiante
Se da un lato possiamo far risalire l’origine della mosca galleggiante alla seconda metà del 1800 è indubbio che l’attrazione verso quello che succedeva in superficie è storia molto più vecchia. Qualsiasi mosca sommersa, prima di diventare tale doveva per forza di cose rimanere un tempo più o meno lungo in superficie, dipendentemente dal peso dell’amo usato o dalla ricchezza e qualità dei materiali e dal loro potere di assorbimento. E in quelle anche brevi frazioni di tempo qualcosa doveva pur succedere. Come possiamo non immaginare che un pesce salisse di tanto in tanto a ghermire la mosca appena posata o quando questa si trovava ancora intrappolata nella tensione superficiale? Negli scritti di Thaddeus Norris o negli appunti del primo Theodore Gordon si legge chiaramente della pratica di pesca con mosche sommerse lanciate a monte e fatte derivare senza dragaggio in superficie, nei momenti di attività a galla del pesce. Quando la mosca a galla e la ricerca dell’imitazione esatta iniziarono a cambiare l’approccio dei pescatori a mosca anche lo stile e le problematiche legate alla costruzione cambiarono. Combinando ciò alla maggiore diffusione di questo sport, la domanda di mosche pronte all’uso aumentò in misura esponenziale. Di figure di costruttori professionisti il mondo e la storia della pesca con la mosca ne sono pieni e alcuni di questi sono stati padri di una vera e propria tradizione che, in alcuni casi, prosegue fino ad oggi. I pescatori Italiani conoscono bene personaggi legati alla tradizione europea quali Gérard de Chamberet e Aimé Devaux e autori nostrani più titolati di me su questo argomento già ne hanno scritto in varie misure. Mentre poco si è scritto in Italia sulla tradizione del Regno Unito o dell’est americano e sulla vita di certi personaggi che invece varrebbe la pena conoscere, almeno per avere una visione più completa delle origini di quello che oggi diamo così facilmente per scontato.
All’inizio di questo scritto non ho specificato che il riferimento ai costruttori professionisti è limitato, per mio personale interesse, alle figure, per così dire, solitarie e non alle aziende che proliferarono agli inizi del secolo scorso. Colossi quali Hardy, Malloch, Herter’s, Mill’s, Farlow o Orvis produssero milioni di mosche avvalendosi di numerosi costruttori salariati, ne più ne meno di quello che avviene oggi nelle produzioni oltreoceano di paesi come lo Sri Lanka e il Kenia. Tutt’altra cosa invece il profilo di quegli uomini e donne che fecero del fly tying la loro principale fonte di sostentamento e, in special modo, di quelli che legarono il loro nome vuoi ad uno stile o ad una mosca o semplicemente alla bellezza e precisione delle loro creazioni. Rimandando ad un eventuale scritto futuro la descrizione dei costruttori anglosassoni, quali Wright, Blacker e Ogden, vorrei qui soffermarmi sulla magia dell’epoca d’oro della pesca a mosca americana. Senza negare l’enorme influenza che, attraverso i suoi scritti, un personaggio come Frederic Michael Halford ebbe direttamente e indirettamente sullo sviluppo di un modo di pescare diverso anche negli Stati Uniti, dobbiamo premettere che gli americani, a partire da Thaddeus Norris e a proseguire con Theodore Gordon, il loro padre spirituale della mosca secca, furono capaci di evolvere un loro stile e una loro tecnica, evitando di fossilizzare il loro sapere all’ombra della letteratura e tradizione Inglese. Una piccola rivoluzione o, se vogliamo, un vero scisma. Anzi, molto spesso riuscirono a raffinare certi concetti e a portare alcuni aspetti del fly tying, o della stessa pesca a mosca più in generale, a livelli, permettetemi di dirlo, mai raggiunti nemmeno dai padri inglesi. L’esempio più eclatante fu la ricerca genetica nella selezione dei galli con le caratteristiche ottimali per fornire piume adatte alla costruzione delle mosche secche e a tutt’oggi i risultati sono più che evidenti. E questo senza nulla togliere alla bellezza di alcuni piumaggi quali i Coq de Leon Pardo e Coq de Leòn Indio spagnoli o i Limousine francesi, tra l’altro prelevati rigorosamente a mano da animali vivi.
I primi esperimenti sulla selezione erano già iniziati in Inghilterra sulla scia degli studi di genetica di Mendel. Soprattutto quando la fonte principale di piume iniziò improvvisamente a scarseggiare. Mi raccontò Paul Schmookler, famoso costruttore americano, collezionista e autore di stupendi volumi sulla storia dei materiali da costruzione, che la maggior parte delle piume usate fino a metà Ottocento provenivano dai galli da combattimento, introdotti in Inghilterra già al tempo delle conquiste romane, dai cui nomi derivano molti dei nomi ancora oggi utilizzati dai fly tiers, come il Blue Dun. Le battaglie tra galli e le conseguenti scommesse furono una pratica frequente e molto popolare fino a che non fu vietata in USA e Regno Unito proprio a metà del XIX secolo, causando un’improvvisa scarsità di piume e la impellente necessità di trovare alternativa. E l’allevamento fu ovviamente la soluzione più logica. Ma la vera ricerca della piuma perfetta, in particolare modo nella rara colorazione grigia, aspetto affascinante, ha in special modo assillato i costruttori professionisti americani. A partire da Theodore Gordon, con la sua maniacale selezione della giusta gradazione di grigio che non lo faceva dormire la notte, proseguendo con John Atherton, fautore dell’impressionismo, che non poteva fare a meno di piume Cree e Badger per le sue mosche screziate ed era solito allevare i suoi stupendi galli liberi nel bosco della proprietà per poi abbatterli con la carabina dopo averli fatti alzare in volo dal suo cane da caccia, fino ad arrivare a Harry Darbee, la cui selezione genetica è madre di molte delle marche commerciali conosciute oggi, nel senso che molti dei colli venduti e usati oggi anche in Europa provengono geneticamente dal ceppo originario selezionato da Darbee.
Una particolarità di molti di questi costruttori statunitensi era quindi il legame imprescindibile tra la costruzione a livello commerciale e l’allevamento dei propri galli ai quali veniva dedicata una cura pari se non maggiore che ai propri figli. Anche perché, in fin dei conti, i figli erano un costo mentre i galli rappresentavano un importante fonte di guadagno. Sul retro delle loro case era quasi sempre presente il recinto dove razzolavano le galline mentre i maschi, per ovvie ragioni vivevano separati in gabbie singole. Una discreta parte della giornata era dedicata a questi animali e i compiti erano, ove possibile, equamente divisi tra i famigliari. Divertente è un aneddoto riportato da Alfred Miller, che scrisse con lo pseudonimo Sparse Grey Hackle ed è ricordato come il reporter dell’epoca d’oro della pesca a mosca americana, nel libro sulla vita di Harry Darbee, scritto dallo stesso Darbee a braccetto con Austin Mc Francis, o forse l’esatto contrario. Sparse racconta di come Elsie Darbee, moglie di Harry e raffinatissima costruttrice, fosse uscita correndo durante la notte, in ciabatte, vestaglia e con un fucile in braccio, e senza esitare avesse sparato in mezzo agli occhi a due procioni che tentavano di pasteggiare con i loro preziosi galli. Poi, tranquillamente, era tornata a dormire come nulla fosse. La qualità delle hackles è sempre stata alla base della costruzione della mosca galleggiante, o almeno fino a quando qualcuno non iniziò a spennare i deretani delle anatre al fine di ricavarne CDC Super Select, e dalle loro caratteristiche di rigidità, lunghezza di fibra e flessibilità del calamo dipendeva, e dipende tutt’ora, la qualità della mosca stessa. Gli inglesi pur avendo contribuito in maniera determinante allo sviluppo della pesca con la mosca non furono particolarmente attivi riguardo alle hackles.
In una lettera autografa e originale della mia collezione, Sparse Grey Hackle, l’Alfred Miller di cui sopra, parla senza nascondere una punta di ironia della bassa qualità delle hackles inglesi e rivolgendosi a Harry Darbee, al quale la lettera era indirizzata, giustifica questo aspetto con l’umidità, la pioggia e le pessime condizioni atmosferiche del Regno Unito. E questo, al di là del comprensibile campanilismo, potrebbe avere un fondo di verità. In questa avventura a galla costruttori come Theodore Gordon, Roy Steenrod, Herman Christian e Reuben Cross, con le loro mosche secche e la loro sperimentazione, accompagnarono a braccetto il popolo americano nel viaggio di emancipazione e riscatto dalla tradizione delle classiche mosche sommerse inglesi.
Diventare un costruttore di professione non era semplice a quel tempo e non bastava la ferma volontà di iniziare. Ci si scontrava subito con l’evidente e comprensibile necessità di imparare la tecnica e questa non veniva divulgata a semplice richiesta. Consideriamo che la culla della mosca secca americana fu la parte Est degli Stati Uniti, mentre l’Ovest, con le sue grosse mosche in pelo che sarebbero arrivate in seguito, era ancora indaffarato con le solite mosche sommerse, con la maggior parte dei costruttori che si concentrò inizialmente intorno alla contea di Sullivan sui Catskills. La concorrenza era molto temuta da chi già viveva di costruzione e, considerando il periodo storico a cavallo della grande depressione, nessuno svelava i propri segreti con facilità e i primi pionieri si videro costretti a smontare le mosche di altri costruttori per studiarne i giri di filo e capirne la tecnica, il solo pensare che alcuni smontarono le poche mosche di Theodore Gordon ancora in circolazione mi fa star male. Sfamare una famiglia vendendo mosche a meno di un dollaro per dozzina era un’impresa e possibili nuovi concorrenti non erano logicamente apprezzati. Consideriamo però che già intorno al 1940 una dozzina di mosche di ottima fattura poteva vendersi tra i tre e quattro dollari e che il giro d’affari di un buon costruttore si aggirava sui quattromila dollari annui. Una cifra indubbiamente interessante che spinse letteralmente migliaia di nuovi adepti a dotarsi del necessario per iniziare a costruire professionalmente. Si calcola che dopo la seconda guerra mondiale negli Stati Uniti ci fosse almeno un costruttore professionista in ogni cittadina o piccolo paese che sorgesse in prossimità di qualche fiume dove fosse possibile praticare la pesca sportiva.
Una volta che la tecnica era appresa iniziava una serie di altri problemi da affrontare. L’approvvigionamento di materiali in sufficiente quantità, la ricerca dei giusti ami e, non poca cosa, la raccolta dei primi ordini. Si costruiva per i privati e si rifornivano i negozi della zona e, una volta che la propria notorietà superava i confini della contea, si poteva sperare in qualche grosso ordine da uno dei famosi negozi di New York o Philadelphia o delle grosse città in genere. Abbiamo già visto sopra come l’allevamento dei propri galli consentisse di avere un ottimo controllo sulla qualità delle piume e, naturalmente, una fornitura continua di materiale. Gli allevatori di pollame ad uso alimentare macellavano normalmente gli animali entro i due anni di vita, prima che questi raggiungessero quindi la maturità necessaria a produrre piumaggi ottimali per la costruzione. E anche se i mercanti di piume potevano fornire colli di sufficiente qualità provenienti dall’India rimaneva il problema di trovare quelli grigi, ancora rarissimi. Dall’India provenivano per lo più colli marroni, crema e badger. L’allevamento in proprio diventava quindi una pratica quasi obbligatoria. Ma i galli andavano spennati, all’inizio erano troppo pochi e troppo preziosi per essere uccisi, e si doveva imparare a lavorare lo scalpo se si decideva di usare o vendere, in seguito, il collo intero.
Osservando gli animali in un recinto ci si poteva rendere conto di trovarsi nella proprietà di un costruttore di mosche semplicemente notando che dal collo di questi galli mancavano la maggior parte delle piume in misura per ami del 12 e 14, quelle più usate a quel tempo, una mosca sul 16 era già considerata un midge. Non so se questi uccelli fossero felici di sentirsi spennare a intervalli regolari ma, sicuramente, doveva essere preferibile vivere una lunga vita con il collo spennato piuttosto che una breve esistenza con il collo tirato. E, stando a quanto si racconta, i galli si abituavano presto a questa pratica e si lasciavano spennare senza troppi problemi. Sulla concia degli scalpi interi ognuno aveva invece la propria tecnica e alcuni esperti e collezionisti di oggi sono in grado di determinare la provenienza di un collo esaminandone il taglio praticato sulla pelle. Quelli di Darbee, i più ricercati e rari, sono forse i più facili da riconoscere in quanto era solito applicare un foglio del giornale locale sulla pelle appena conciata perché assorbisse il grasso in eccesso. E’ stato divertente leggere brandelli di notizie dell’epoca sul retro dei quattro colli di Darbee che conservo gelosamente, tre preziosissimi dun del suo famoso ceppo andaluso e un raro ginger). Quando poi la richiesta di mosche iniziò ad aumentare il solo allevamento non fu più sufficiente a fornire certi colori in quantità per cui i costruttori-allevatori iniziarono a tingere i piumaggi con anilina e colori vegetali e persino ad usare nitrato di argento per ricreare la gradazione screziata dei rari grigi naturali. Tutto questo fino a che il signor Metz non decise di iniziare una proficua attività incentrata sull’allevamento di galli per fly tying.
Gli attrezzi usati a quel tempo per la costruzione erano limitati al massimo e si dava grande importanza alla manualità piuttosto che all’aiuto di troppa tecnologia che, a volte, poteva persino rallentare il processo costruttivo. Lo stesso bobinatore fu evitato per molto tempo e la maggior parte di questi costruttori non rinunciava al controllo diretto del filo con le mani. Filo che comunque andava abbondantemente incerato, manualmente o, con strumenti auto costruiti che inceravano un’intera bobina in un unico processo. Un bottone o altro tipo di perno fissato al tavolo, una molla o un peso, fungevano da punto di ancoraggio del filo durante le fasi di costruzione della mosca, quando le mani erano impegnate in altre preparazioni ali o corpi. Nelle coppie di costruttori era di solito la moglie che selezionava i materiali, dividendo le hackle delle giuste dimensioni, mentre la costruzione stessa era divisa normalmente tra marito e moglie a seconda dei modelli. Ad esempio, Walt Dette e sua moglie Winnie si dividevano tra le Delaware Adams, le Conover e le Quill Gordon, mentre la figlia Mary, una gentile signora, che oggi ha 85 anni e che ho avuto l’onore di conoscere, si dedicava alle Coffin Flies e alle sommerse.
L’esigenza di aumentare le entrate finanziarie e garantire il sostentamento a tutta la famiglia spinse col tempo alcuni di questi costruttori, primi fra tutti la famiglia Darbee e i Dette, ad aprire all’interno della propria abitazione un piccolo negozio nel quale si vendevano materiali da costruzione, libri, e attrezzature da pesca, con una buona selezione di canne, logicamente in bamboo, e mulinelli. Considerando che la zona Est degli Stati Uniti non fu solo la culla della pesca a mosca americana ma anche della costruzione di canne in bamboo si capisce come i rapporti tra i rod makers locali e i fly tiers professionisti si instaurassero facilmente. I Darbee vendevano nel loro negozio le rinomate canne di Jim Payne, Ray Bergman proponeva quelle di Lyle Dickerson nel suo catalogo, mentre i Dette avevano rapporti con lo stesso Everett Garrison. E quando il tempo a disposizione lo permetteva, tra una piallata e un giro di filo, nessuno gli toglieva una buona battuta di pesca assieme sulle acque di qualche fiume locale, che certo non mancava. Ricordo che il villino della famiglia Darbee si trovava quasi sulle sponde del Willowemoc e quello dei Dette, poco più a valle, nella cittadina di Roscoe, sempre sul Willowemoc, ma vicino alla confluenza con l’Upper Branch del Beaverkill, non lontano dalla Junction Pool, dove i due fiumi confluiscono. Se vi capitasse di passare da quelle parti non mancate di tentare la sorte proprio alla Junction Pool. Potreste avere la fortuna di catturare il Beamoc, il nome deriva dall’unione delle due parole Beaverkill-Willowemoc). La leggenda racconta di questo grosso pesce con due teste, corna di cervo e coda di castoro che vive in questa pool, perennemente indeciso su quale dei due fiumi risalire.
Le abitazioni di questi costruttori più rinomati divennero presto un punto di ritrovo e pellegrinaggio per una moltitudine di pescatori, inclusi tutti i più conosciuti personaggi dell’epoca. Ci si recava in questi templi del fly tying per acquistare, per ordinare nuove mosche, conoscere la situazione delle acque della zona e, soprattutto, per avere consigli sulla pesca e sulle schiuse stagionali. Anche i membri dei più esclusivi club avevano le loro preferenze e amavano frequentare uno o l’altro dei costruttori ai quali si rivolgevano anche per ordini speciali o per particolari modifiche ai dressing. E considerando che si trattava per lo più di membri milionari dell’Angler’s Club di New York o del Fly Fishers Club di Brooklyn era difficile dire di no anche alla richiesta più inconsueta. E’ logico che anche i costruttori stessi avessero le proprie preferenze in termini di clienti e, nonostante gli affari fossero pur sempre affari, svicolavano da visite inattese ogni volta che potevano. Ricordo che Mary Dette mi raccontò alcuni anni fa di come suo padre Walt, pur essendo persona cordiale e gentilissima, avesse l’abitudine di nascondersi a fumare in camera da letto ogni qual volta vedesse Hedward Ringwood Hewitt arrivare con la sua auto davanti al cortile di casa. Attendeva che sua moglie Winnie si prendesse cura del cliente e ritornava al suo tavolo da costruzione solo dopo che Hewitt era risalito in auto.
Hewitt, l’inventore delle Bi-visible e delle Skaters era un personaggio di un certo spicco, ricco, famoso, ottimo pescatore, inventore, autore di libri e pioniere della gestione di riserve e ripopolamenti. Ma forse troppo lontano dal carattere semplice di Walt, il quale non mancava però di esaudire volentieri le richieste del ricco Hewitt, sempre a caccia di hackle dalle lunghissime fibre per le sue amate skaters. Questi artificiali erano costruiti su piccoli ami, spesso a gambo corto, utilizzando unicamente un collare di hackle sovradimensionato fatto da piume con fibre lunghissime, quelle che in inglese vengono chiamate spade. Niente coda e niente ali. Solo giri di hackle. Mosche che potevano raggiungere oltre cinque centimetri di diametro. Walt conservava le poche spade presenti sui colli di gallo proprio per confezionare le Skaters per Hewitt il quale amava in maniera particolare pescarci al punto di sostenere che avrebbe potuto prendere pesci anche solo con questa mosca in qualsiasi situazione. Oggi sono mosche quasi impossibili da riprodurre a causa dell’eccessiva selezione dei colli da costruzione, così pieni di hackle per mosche piccole e piccolissime ma sforniti di hackle per costruire decentemente già su ami del 10.
Ogni costruttore di mosche professionista ha sempre avuto la sua clientela affezionata con la quale, nel tempo, instaurava uno stretto rapporto che si trasformava spesso in duratura amicizia. Diverse furono nella storia della costruzione le mosche chiamate con il nome di un determinato personaggio, famoso o meno, con il quale il costruttore di turno aveva un rapporto di stretta amicizia. Come la Colonel Bates di Carrie Stevens, la famosa costruttrice dei lunghi streamers del Maine per la pesca sui laghi della Upper Dam, che nominò una mosca in onore dell’amico, Colonnello Joseph Bates, grande pescatore di salmoni e autore di vari libri sull’argomento. Una delle mosche amate da Walt Dette fu ad esempio la Corey Ford che egli chiamò così in onore di un autore americano, molto conosciuto a quel tempo, con il quale Walt aveva un ottimo rapporto di amicizia. Parlando di Corey Ford non posso mancare di accennare al fatto curioso che questo autore, oltre ad aver pubblicato articoli per 20 anni per la rivista Field & Stream, scrisse per lungo tempo anche per Vanity Fair una serie di pezzi intitolati Impossible Interviews, le interviste impossibili, nelle quali immaginò personaggi famosi intervistarne altri ugualmente conosciuti. Come Stalin con Rockfeller o Sigmund Freud con Jean Harlow. Non so perché ma queste interviste impossibili mi ricordano qualcosa di molto vicino a noi.
La corrispondenza tra i costruttori e la loro clientela avveniva, per ovvie ragioni legate al periodo, tramite lettera e i loro scambi epistolari sono uno degli aspetti che più mi affascina. Sono piccoli pezzi di storia testimoni di un’epoca così lontana dalla nostra, non tanto per un discorso temporale quanto per l’enorme differenza di stile e di modi, anche solo per l’eleganza della forma scritta. Queste lettere sono impregnate non solo di romanticismo ma soprattutto d’informazioni che possono aiutare un attento lettore a comprendere meglio il periodo storico e la figura dei personaggi in questione. E, a volte, pure a far nascere piccoli dubbi ai quali difficilmente si potrà dare risposta ma che contribuiranno ad aumentare il fascino delle esistenze di alcuni di questi costruttori professionisti. Vite di personaggi come Helen Shaw, la lady fly tier, che costruì mosche tra i grattacieli di New York o esistenze solitarie di uomini duri, come quelle di Herman Christian, abile cacciatore che, come nei film sulle storie della frontiera americana, non esitò a sparare ad un orso che faceva capolino dalla finestra della sua casetta in legno, o di Reuben Cross, schivo e poco sociale ma con mani d’oro che crearono alcune delle mosche più belle e oggi tra le più ricercate e costose. Oppure avventure di una intera famiglia come per i Darbee e i Dette, la cui tradizione prosegue ancora oggi con la figlia Mary e il pronipote Joe Fox. L’arte della costruzione è come uno scrigno che contiene preziosi tesori, storie di pesci, storie di insetti e storie di uomini, molti di loro resi immortali dalla loro opera e dai loro studi. Aprirne il coperchio e curiosarne il suo contenuto è sempre un’esperienza magica e agli scettici posso solo ricordare che in ogni mosca di oggi c’è sempre, in qualche modo, la mosca di ieri.
Un ringraziamento speciale a Roberto Messori per il permesso di riprodurre questo articolo di Alberto Calzolari apparso in origine sulla rivista Fly Line.